11 marzo 2010

Mamma Tolfa addio.

A Tolfa salutavo gli amici. Dove vai? Vado a Roma. Ma che sei matto?
Me ne andavo da quella Tolfa puttanona, borghese, fascista, da quella Tolfa del -ma se n'n s'aiuta tra torfetani?-, da quella Tolfa delle sette pizzerie, dei cinquanta alimentari, delle tre tabaccherie, di Marzia l'estetista, quella Tolfa del panonto, del gelato da Anastasia, del gelato da Antea, delle "brutte ma bbone", delle ciambelle al vino, della coppietta, del maiale buono…
Me ne andavo da quella Tolfa di Santino, del Monumento, dei casini, delle verità non dette, della SICOI, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, delle borse di studio per studenti che non sono mai esistite, quella Tolfa degli uffici postali in piazza, che rubano tutti, quella Tolfa dell'Università Agraria, della Comunità Montana, del Gar, quella Tolfa dove i concorsi li facevano in quattro, dove ci voleva una raccomandazione…
Me ne andavo da quella Tolfa delle Pisciarelle, di Bassano, delle fontanelle che non vanno, del Poggio, della Costa, della Ripa, di Sant'Egidio, del Prato, della Sughera e delle altre mille chiese...

Me ne andavo da quella Tolfa delle villette, la Tolfa della Pacifica, di via "della musica", del Tolfa Hotel, di via Annibal Caro, quella del Teatro, quella culturale, quella magnereccia, quella contadina, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella della Notte Bianca e quella cavallara del Torneo dei butteri alla Nocchia…
Me ne andavo da quella Tolfa che ci invidiano tutti, la Tolfa "caput mundi", della Rocca, di Palazzo Buttaoni, delle stallette del Poggiarello, della fontana della Lizzera, del Comunale, quella Tolfa che -è mai possibile che nevica a marzo?-, quella Tolfa che il mare è a venti chilometri…
Me ne andavo da quella Tolfa dove ci si ubriacava per le strade, quella Tolfa fetente, impiegatizia, dei ristoranti, dell'acquacotta, quella Tolfa dei ricchi bottegai: quella Tolfa dei Bargiacchi, dei Battilocchio, dei Tidei, dei Padelli, di Tonino, della Collina Verde, quella Tolfa dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira (o così dicono), quella Tolfa che è "Tolfa bella, Tolfa mia"…
Me ne andavo da quella Tolfa di Via Roma, della Conad, del Poggio delle Piane, della piazza Vecchia, della piazza Nuova, quella Tolfa dei “è piena di rumeni”, “è piena di cornuti”, quella Tolfa del Giardino comunale, dell' INAPLI, quella Tolfa della via che portava e porta ancora il nome di Almirante, Me ne andavo da quella Tolfa dimmerda! Mamma Tolfa: Addio!

12 gennaio 2010

La fatina triste

La chiamavano la fatina triste, chissà perchè poi. Forse perchè nelle foto, mentre tutti gli altri facevano le gare per il sorriso più splendente, rimaneva in disparte, in basso a destra, oppure si sforzava di sorridere, ma tutto quello che otteneva era una bocca storta. Ed era lì, fissa nell'immagine della foto, mentre guardava lontano, guardava fuori. E intanto il mondo le passava avanti.

La chiamavano la fatina triste, essì che ce ne voleva a definirla triste: era ironica, solare, gentile. Praticamente da sposare. Aveva ed ha un ragazzo, una famiglia alle spalle che gli vuole bene, l'Università ed una vita tutta sua con milioni di progetti a riempirla.

La chiamavano la fatina triste forse perchè era sempre insoddisfatta. O forse perchè, più che altro, era sfortunata. Ma non di quella sfortuna accanita e cattiva. Piuttosto quella che ti fa rimanere un passo indietro rispetto a chi ti sta vicino. Allora tutto si fa un pochino piì difficile per te. Solo ed esclusivamente per te, mica per gli altri. Ti rimangono quindi due soluzioni: abbattersi, perdendo tutto, oppure ringhiare. E la fatina triste ringhiava, eccome se ringhiava.

La chiamo la fatina triste, l'ho rivista l'altro giorno. Non è cambiata in niente. E col tempo ho capito che quella che si porta dietro non è tristezza: è solo il modo per farci capire che lei, a differenza di molti di noi, ancora riesce a sognare.

07 dicembre 2009

[Il compleanno, ovvero la principessa e il pirata /2]

Uscirono fuori: era una di quelle serate umide e un po' nebbiose, utili solo per le feste al chiuso, d'inverno.
Franz si coprì con il cappuccio della felpa (tentativo inutile), mentre Berta tirò fuori da chissà dove il famoso golfino bianco.
-E' un po' che non ci si sente...- esordì Franz, mentre le sue dita tremavano nervosamente.
-Essì, sei sparito per un po', ma anch'io non è chi mi sia fatta viva...-
-Beh, Io te lo avevo promesso, lo sai.-
-Giusto...beh, come ti vanno gli esami?-
-Mah, normali...diciamo che nella mia grande lotta coi professori a volte vinco e a volte...no. Tu invece, tutto ok?-
-Più o meno.-
-E...stai sempre con lui?-

Franz toccò un tasto dolente. Per sè stesso. Un gesto da autolesionista di professione. Nel senso che se non fosse stato per quel tipo i Fattacci d'Agosto sarebero potuti durare anche a Settembre, Ottobre...fino all'infinito.
I Fattacci d'Agosto non sono scandalosi: per un po' (guarda caso ad Agosto) Francesco e Roberta si erano frequentati in maniera quotidiana, assiduamente (ma occhio ad equivocare. NON stavano insieme). Poi ci si era messo di mezzo un viaggio con gli amici a Praga, gli esami ed i corsi all'Università avevano fatto il resto: Franz si ritrovò fuori gioco, mentre la Berta si consolava con il moroso.
Ma, ad ogni modo, aveva sempre trattato Berta con un occhio di riguardo: nello scaricarlo aveva tentato di metterci tutta la dolcezza possibile, per fargli pesare di meno la dipartita (o forse per renderla meno traumatica). In fondo anche a Berta i Fattacci erano piaciuti.

E la stessa Berta tagliò corto: -Sì, stiamo ancora insime...ma va così. Tu?-
-Io...Beh, lo sai. mi hai vsto con la mia nuova Lei. Ma non ho così tanta voglia di parlarne.-
- Assì? E allora...che mi devi dire?-
-Niente. Questo è il punto: non voglio dirti proprio niente. Nel senso che quello che avevo da dirti te l'ho già detto.-
- Giusto.-
- Manca però una cosa.-
- E cosa?-
-...Grazie.-

In quella sera, umida e stupida, in quella festa un po' barbosa, che stentava a pertire (ma che poi, come ogni fetsa, sarebbe diventata la migliore di sempre), Berta se trovò spiazzata. E Franz...Franz si trovò con un grosso peso in meno.

30 novembre 2009

[il compleanno, ovvero la principessa e il pirata]

...E fu così che arrivò il compleanno di Daria.
Daria non vedeva l'ora di festeggiarlo. Non vedeva l'ora di festeggiare i suoi primi 18 anni. Era un mese che preparava la sua festa. A Franz non interessava tutto questo stress mentale ma condivideva la voglia di divertirsi. In fondo si va alle feste per questo,no?
Certo si sarebbe aspettato tutto, meno che incontrare alla festa la Berta, specie dopo i "Fattacci d'Agosto".

Roberta, detta Berta, era (come sempre) splendida: aveva un vestitino lungo, color carta da zucchero che finiva appena sopra il ginocchio e lasciava scoperte le spalle per qualche centimetro di pelle, pelle subito coperta da un golfino bianco nel caso avesse fatto freddo. Aveva, la Berta, una collanina d'argento, luminosa e magnifica nella sua semplicità, che sembrava trovarsi sul suo collo quasi per caso, come se non fosse degna di "quel" collo.
Gli occhi di Franz scesero pian piano, gustandosi ogni lembo di pelle, dalla collanina al decollete poi, per pudore, distolse lo sguardo e notò il suo trucco leggero (un filo di rimmel e un po' di rossetto sulle labbra). Notò anche i suoi capelli rossi, i suoi boccoli, avvolti delicatamente da una fascia: era una principessa e stava sfidando tutte le altre nella gara per chi fosse la più bella della festa.
Dal canto suo invece il Franz adottava lo stile da pirata: felpa coloratissima e jeans erano d'ordinanza, quanto alla barbetta di una settimana e la kefiah...beh, erano per dare un tocco d'autunno.

I due si guardarono negli occhi e non dissero nulla. Volevano far finta di niente. Ma proprio quando tutto sembrava già un piccolo "incidente di percorso" Franz ebbe uno scatto; un clic mentale lo fece muovere verso Berta: di colpo gli venne voglia di parlarle, un po' per gioco, un po' per sfida.
Ma la musica del dj ed il caldo ovattato della sala, agitò la mano per chiamarla a lui. Berta capì. Ebbe lo stesso clic mentale ed accettò la sfida.

23 novembre 2009

Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà.

Li incontrai di nuovo dopo anni. Non sembravano cambiati di una virgola: avevano ancora quel sorrisetto, del tipo che hanno le mamme nelle pubblicità: falso,irritante e da invidiare allo stesso tempo. Neanch'io ero cambiato esteriormente, nel senso che sembravo il solito barbone. E forse lo sembravo di più, visto che ero a fine giornata e che avevo già subito il delicato trattamento dei mezzi pubblici.

-Ciao!-
-Ciao ragazzi-
-Come va? Non ti sei fatto più vedere!-
-Eggià...Sono andato a prendere le sigarette.-
-Ammazza...c'hai messo quattro anni? ah ah!-

Odiavo ( e tutt'ora odio) chi mi tiene il conto del tempo che passa. E' roba da vecchi e da adolescenti in calore.

-E quanti pacchetti di sigarette hai preso? Centomila? ah ah!-
-Essì...-
-...Beh? Allora...che fai di bello? Anzi...ce hai fatto di bello in questi quattro anni?-

Nel sottolineare il tempo che era passato notai distintamente che mal sopportavano tutti gli anni che erano trascorsi da quando io li avevo, per così dire, "abbandonati". Ma non volevo certo fare il loro gioco. o per meglio dire, non me la volevo prendre a male.

-Beh dai, lo sapete quello che ho fatto. Ho ricominciato l'università, seguo di nuovo i corsi...-
-Ti abbiamo visto con quella là...fatto centro sì?-
-Sì, vabbè, veramente non la sento più...-
-Uh. Peccato... ci dispiace.-

Sapevano, sapevano perfettamente quello che succedeva intorno a me. In un paese si sa tutto di tutti. Lo facevano apposta, solo per farmi incazzare. Volevano solo prendermi per il culo, solo sentirsi superiori . Ma io con cazzoni del genere non tratto. Preferisco lo scontro diretto, la guerra. E allora che guerra sia.

-Invece voi...che fate di bello?-
-Beh, lo sai...stiamo sempre là. Passa il tempo...ma noi non passiamo mai!-
-Eh eh.-
-Ma invece tu, dopo tutto questo tempo...ma non senti un pochino la nostra mancanza?-
-Vuoi la verità? No.-
-In che senso?-
-Nel senso che...sto bene così.-
-Sì, giusto. Hai altre priorità. Ma lo sai, Se cambi idea...-
-SE cambio idea ve lo dico. Ma ne abbiamo già parlato. E sapete come la penso...-
-Già.-
- Quindi sapete che è molto difficile che io possa tornare. Anzi, al giorno d'oggi è impossibile. Non perchè non posso, ma perchè proprio non voglio. Non voglio: non c'è un solo neurone del cervello che mi dica di tornare indietro. Oh certo, voi mi mancate...ma non è certo una condizione sufficiente per farmi tornare.-
-Beh dai, non sarà l'unica...-
-Tutto sommato... sì. Ormai la vedo come una febbre, come una malattia: una volta guariti rimane solo il brutto ricordo. Ecco che siete, una brutta malattia!-
-Ah, che spiritoso!-
-Spiritoso un cazzo! Forse non vi siete resi conto che se in questi quattro "lunghi" anni non vi ho cercato. Un motivo ci sarà! Ed è pure semplice...-
-...-

Rimasero con le orecchie tese all'ascolto, tra l'incredulo e il curioso. Il tornado stava per arrivare.

-C'è che ero stanco. anzi: sono stanco. Stanco di seguirvi passo passo, stanco di starvi dietro. Sono stanco di sentire le vostre bugie, tutte le cazzate che mi avete raccontato in questi anni, stanco di leccarvi il culo. Sono stanco. E sono deluso: deluso da voi che credevo amici, compagni...fratelli. Finchè un giorno mi sono reso conto che mi avete preso ben bene per il culo. Mi manca la forza solo a pensare a tutte le volte che v'ho dato una mano con tutto il cuore, mentre voi pensavate a come giocare con il vostro burrattino...FANCULO! E, con permesso, adesso andrei...-

Era passato il tornado. poteva fare molti danni ma era arrivato e metà. Nel senso che nell'enfasi della situazione tante di quelle parole che mi erano passate in quegli attimi per la testa mi rimasero strozzate in gola, per colpa della foga e della voglia di liberarmi da quel peso. Non dissi tutto, ma girai i tacchi appena in tempo per non mostrare loro le lacrime che comiciarono a scendere. Erano calde di rabbia.
Loro non si mossero. Non si aspettavano di certo quella reazione. Pensavano che il burrattino cattivo sarebbe tornato di lì a poco nella loro cassa dei giochi preferiti, ma non fu così. Del resto neanche quattro anni prima si erano aspettati che me ne andassi senza tornare.

Mi allontanai senza voltarmi. Non ho mai più visto nessuno di loro. In nessuna circostanza. E non ne ho certo la mancanza.

Ed è a questo punto che si spengono le luci. Sipario.

15 novembre 2009

la fin des misérables est ici - direttamente dal passato

...E allora è finita. O meglio: hanno avuto la peggio le nostre convinzioni. Convinzioni che non stiamo qui a raccontare, sarebbe troppo lungo.

Quella dei miserabili è una storia chiusa, da tempo per giunta. Siamo stati troppo a tentare di rianimare questo progetto che non ci siamo resi sonto che era morto da un pezzo.

La sua anima è sperduta. E stavolta per davvero.

Il ricordo di questo piccolo angolo al di fuori degli schemi rimmarrà. Come si dice: Miserabile una volta, Miserabile per sempre.

Quanto a questa pagina [su facebook, nda] ...beh, rimarrà qui. Almeno per un altro po'. Non abbiamo il coraggio di cancellare questo piccolo pezzo di passato. E francamente non ne abbiamo nemmeno voglia.
A volte, quando si cambia radicalmente una strada, si tende a nascondere il passato dimenticandosene. Vi assicuriamo che non è questo il caso, dobbiamo veramente molto ai Miserabili.

I Miserabili torneranno. Ma saranno altre persone ad occuparsene, viaggeranno per altri lidi, cambieranno connotazione. Su questo ne siamo sicuri.

Quanto a noi...torneremo a breve con un altro progetto, diverso da quello che è stato (per voi e per noi) Les Miserablés. Crediamo che vi possa piacere.

Con Affetto,

I non più Miserabili.

30 ottobre 2009

[E fu il piacere di un incontro. /2]

Nel tempo che Lei impiegò per arrivare dal fondo del vialetto Franz si fece sei milioni di pensieri. I più disparati: dal "cazzo avevo bisogno di una gomma!" al "cazzo, si intoneranno le rose coi miei vestiti?".
Straordinariamente non perse la calma. Sussultò un pochino sul "ciao", ma poi riuscì ad essere abbastanza freddo per poter intraprendere un discorso che non parlasse della sua innata idiozia.

Ne aveva bisogno
: aveva bisogno di una donna nella sua vita. Non aveva bisogno della donna con cui sfornare bambini -no di certo- piuttosto aveva bisogno di un'anima gentile, di una persona sensibile, con cui potersi confidare, da cui sarebbe stato aiutato. Cosa che con i suoi amici non potevano essere.

Parlò a lungo il
Franz. Rimasero insieme per un paio d'ore. L'Acero ad un certo punto rimase solo, sebbene ogni tanto qualche poppante vi si nascondesse dietro, sempre a causa di quell'infinita partita a nascondino.
Ma Lei e
Franz erano già andati via da un pezzo, avevano deciso di passeggiare.
Franz superò il provino sulla vestizione, Lei superò il provino come Amica. Di lì a poco sarebbe nato qualcosa di più (Franz, in fondo, lo sperava) ma per il momento l'importante è che era riuscito a fare breccia nei pensieri di Lei.
Questo era il suo obiettivo: farsi ricordare come una persona speciale, diversa, unica. Forse ci era riuscito: non sarebbe bastato un solo
appuntamento per scoprirlo e gli venne facile di accordarsi per il secondo.

Franz , anche quella sera tornò a casa. Kurt Cobain sorrideva felice nel suo ruolo di poster, come se un poster potesse sorridere a piacimento. Come se Kurt Cobain avesse mai riso.
Appoggiò i vestiti pesanti sulla sedia, si tolse le scarpe. Respirò: era tornato a vivere.